Posso farlo anche io. Erica TrabucchiCover Story Don't Touch Me In evidenza News Rubriche 

Posso farlo anche io

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Avete presente quando, guardando un bambino negli occhi, ci si accorge che qualcosa non va? Ecco, a casa mia succede spesso. Perché mia figlia, 6 anni quasi 7, come tende a sottolineare lei quando vuole dimostrare di essere grande, ha spesso domande sulle quali rimugina per molto tempo e poi scarica come bombe pronte a esplodere.

Nello specifico, qualche giorno fa, è tornata a casa da scuola tutta imbronciata e non ho fatto nemmeno in tempo a chiederle cosa fosse successo che ha cominciato a dire “oggi a scuola ho litigato con X” e, come un fiume in piena ha raccontato che stavano facendo un gioco di squadra e che lei spesso proponeva cosa dovevano fare e che molto spesso i compagni le davano ragione. Ma che, a un certo punto, X l’ha spinta facendola cadere nelle foglie secche e poi le ha detto “piantala di comandare. Le femmine non comandano. Piantala o ti mordo”. 

Il suo racconto si interrompe. Ovviamente voglio sapere com’è finita la storia. Perché passare da chi ha ragione alla parte del torto è un attimo. Le chiedo, quindi, cosa è successo dopo e le chiedo anche se, magari senza accorgersene, avesse preso un pochino il comando senza lasciare lo spazio anche agli altri. Mi dice che la maestra ha visto, che X è stato messo seduto e che hanno continuato a giocare e che lei pensava di no, ma che alcuni compagni non dicevano nulla e che lei voleva vincere e quindi forse aveva parlato un po’ di più di qualcuno degli altri. Normale amministrazione, insomma. Uno scambio acceso, un momento di riflessione e poi di nuovo amici, come succede a quell’età. 

Questa volta, però, c’è qualcosa che ancora non va giù a mia figlia. E infatti, ecco la domanda: “ Ma mamma, ma è vero che anche le femmine possono comandare? Io non voglio fare sempre quello che mi dicono gli altri”.

Dovete sapere che in casa nostra, forse per deformazione professionale, cerchiamo spesso la risposta alle domande dei bambini nei libri. Mi sono messa a cercare tra i nostri libri quali avrebbero potuto fare al caso nostro, per spiegare che tutti siamo liberi di fare quello che vogliamo, ovviamente nel rispetto degli altri. Che tutti siamo liberi di dire, pensare, affermare quello che sentiamo dentro. Che nessuno deve permettersi di giudicare, accusare, alzare le mani se la si pensa diversamente. Perché di fondo, la cosa che aveva dato tanto fastidio, non era il litigio, come spesso ne accadono. Ma che le era stato detto che lei, come bambina, come femmina, dovesse stare zitta e non comandare.

Quindi, ho cercato di spiegarle che lei, in quanto bambina, ha lo stesso diritto di comandare di X che è un bambino. E che crescendo, questo non cambierà: avranno sempre gli stesso diritti. In tutti i campi, sempre. Con l’aiuto dei libri. 

Copertina Storie della buonanotte per bambine ribelli (Mondadori)
Copertina Storie della buonanotte per bambine ribelli (Mondadori)

Abbiamo letto la storia di Balkissa Chaibou, che si era battuta per poter studiare e non sposarsi giovane per volere di uno zio; poi quella di Mary Edwards Walker, che si vestiva da maschio perché odiava i corsetti e che voleva diventare chirurga e ce la fece; quella di Ruth Bader Ginsburg che veniva presa in giro da tutti perché voleva essere avvocato e che riuscì a diventare Giudice della corte suprema in America. Tutte donne che hanno deciso come essere e cosa volevano fare e che si sono ribellate a un finale già scritto. (racconti tratti da “Storie della buonanotte per bambine ribelli. 100 vite di donne straordinarie, Mondadori)

Gli esempi di donne forti sui libri non mancano: ci siamo ricordate di Bella, la protagonista del libro “La Bella e la Bestia” che rifiuta Gaston più di una volta, nonostante lui voglia averla per moglie. Perché nessuno deve obbligare nessuno a fare nulla. 

Di Sabrina, che insieme a Ubaldo e Zog, aiutano i malati fino a quando lo zio re la fa rinchiudere a palazzo e lei, che vuole solo fare la dottoressa, si ritrova a ricamare cuscini; lei che di nascosto si farà portare gli ingredienti per la medicina da somministrare proprio al re che non sta bene e che, solo dopo aver sperimentato sulla sua pelle quanto sia brava, la lascia andare e la libera. (Zog e i medici voltanti, di Julia Donaldson e Axel Scheffler, Emme edizioni)

Copertina La Grande Fabbrica delle Parole (Terre di Mezzo Editore)
Copertina La Grande Fabbrica delle Parole (Terre di Mezzo Editore)

Ma anche di Philéas, il bambino povero che con le sue parole riesce a conquistare il cuore di Cybelle, nonostante la presenza di Oscar, il bambino ricco che le parole le può comprare e non raccogliere per strada o nel retino come il povero Philéas. Per spiegare che non serve essere nient’altro che sé stessi per stare bene con sé stessi e con il mondo. Per arrivare dove si desidera. (La grande fabbrica delle parole, Agnès De Lestrade e Valeria Docampo, Terre di mezzo editore)

Ci siamo lette anche del Signor Bruno e del Signor Bigio, i due conigli che bisticciando bisticciando, hanno rischiato di essere mangiati dalla volpe e che, invece, hanno capito, che bisogna parlare per esprimere le proprie emozioni e sentimenti. Per non rischiare che, durante una zuffa, ci sia qualcuno che prende una decisione per noi. (Il litigio, Claude Boujon, Babalibri)

La morale l’ha tratta lei, perché alla fine i bambini sono così: capiscono le cose più in fretta di noi grandi. Che la prossima volta che qualcuno le dirà che non può giocare a calcio ma fare l’arbitro, dirà che anche lei può giocare perché ha due gambe come loro. Che se le dicono di non arrampicarsi, farà vedere che lo può fare perché anche lei ha due braccia. Che se le dicono che deve dare un bacio a un compagno, lei non lo farà, perché è lei che decide quando dare un bacio e a chi. 

Non ho potuto fare altro che darle ragione.

Perché il 25 novembre non sia solo un giorno sul calendario, cominciamo a spiegare ai bambini che la violenza non è la risposta. Che le parole possono fare male e che tutti abbiamo il diritto di essere liberi di dire, fare e baciare chi vogliamo. Perché non si dica che i maschi comandano e le femmine no. Perché non si arrivi a giustificare che alcuni “no” hanno più valore di altri. 

 

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